C’è ancora strada da fare per l’Italia sulla via della digitalizzazione. Il nostro paese è 24mo fra i 28 Stati membri dell’Ue nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi 2019) della Commissione europea per il 2019, come si legge nella Relazione nazionale annuale sul nostro paese. L’Italia è in buona posizione, commenta Bruxelles, ma resta al di sotto della media dell’Ue in materia di connettività e servizi pubblici digitali. Attenzione però perché solo apparentemente abbiamo conquistato una posizione: lo scorso anno eravamo al 25mo posto, ma in realtà l’Europa ha completamente modificato la metodologia di rilevamento e “soprendentemente” – come si evince dal grafico a pagina 3 del documento – ci retroposiziona al 24mo posto anche nel 2018 e nel 2017. Non che faccia la sostanziale differenza, visto che restiamo comunque fra gli ultimi, ma un dubbio sui “metodi” di rilevazione a questo punto sorge sponataneo.
Ma entriamo nel dettaglio. L’Italia fa bene sulla disponibilità dei servizi pubblici online e degli open data e la diffusione dei servizi medici digitali è ben consolidata. Crescono la copertura a banda larga veloce e la diffusione del suo utilizzo ma sono ancora molto lenti i progressi nella connettività superveloce. L’Italia è a buon punto per quanto riguarda l’assegnazione dello spettro 5G.
Male le competenze digitali. Tre persone su dieci non utilizzano Internet abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base. Tale carenza nelle competenze digitali si riflette anche in un minore utilizzo dei servizi online, dove si registrano ben pochi progressi. La scarsa domanda influenza l’offerta e questo comporta una bassa attività di vendita online da parte delle Pmi italiane rispetto a quelle europee. Le imprese italiane presentano tuttavia un punteggio migliore per quanto riguarda l’utilizzo di software per lo scambio di informazioni elettroniche e social media.
A livello nazionale, l’Italia ha adottato la Strategia per la crescita digitale 2014-2020 e la Strategia per la Banda Ultra Larga nel marzo 2015. Nel settembre del 2016 l’Italia ha sviluppato la propria strategia Industria 4.0, ribattezzata “Piano nazionale Impresa 4.0” nel 2017, al fine di riflettere meglio l’ampia portata dell’iniziativa, includendo sia le imprese del settore dei servizi sia quelle del settore industriale. L’attuale governo ha confermato il mantenimento del piano Impresa 4.0 (con la possibilità di modificare alcune misure) e ha rinnovato il proprio sostegno alla Strategia per la crescita digitale mediante un orientamento politico ancora più attivo.
Andando nel dettaglio dei singoli parametri di valutazione, sulla Connettività, con un punteggio complessivo in termini di connettività pari a 57,6, l’Italia si piazza al 19mo posto fra gli Stati membri dell’Ue, risalendo di ben sette posizioni rispetto alla classifica Desi dell’anno scorso. La copertura delle reti fisse a banda larga è leggermente aumentata fino a superare il 99,5 %. L’Italia ha visto un ulteriore significativo incremento della copertura della banda larga veloce (Nga), raggiungendo il 90% delle famiglie e superando dunque la media Ue (83%).
Per quanto riguarda invece la banda larga ultraveloce (100 Mbps e oltre) l’Italia appare ancora in ritardo (con una percentuale pari ad appena il 24% in confronto a una media Ue del 60%) e si piazza in prossimità del fondo classifica (27mo posto), pur se con un lieve tasso di crescita. Anche se le percentuali di utilizzo sono leggermente aumentate, l’Italia risulta ancora indietro rispetto alla media Ue e si posiziona al 24mo posto. Con un totale di 89 abbonamenti ogni 100 persone, l’utilizzo della banda larga mobile rimane al di sotto della media Ue (96 abbonamenti ogni 100 persone), mentre il punteggio relativo alla diffusione della banda larga veloce è nettamente migliorato (siamo al 23mo posto). Sia la copertura che la diffusione della banda larga ultraveloce risultano ben al di sotto della media Ue. Tuttavia i prezzi dei servizi a banda larga in Italia sono più bassi rispetto alla media Ue.
Open Fiber ha concluso i lavori presso 40 dei suoi 950 cantieri e sono state avviate prove di esercizio attive e passive in soli 4 comuni, sottolinea la Relazione. Nelle zone commercialmente redditizie, 3,3 milioni di famiglie sono state collegate alla rete Open Fiber entro settembre 2018. Flashfiber, la joint-venture tra Tim e Fastweb lanciata nel luglio del 2016, è attualmente impegnata nell’implementazione di una rete Ftth in 29 grandi città. Nell’aprile del 2018 è stato pubblicato e sottoposto a pubblica consultazione il nuovo piano di investimenti nelle aree grigie (per cui erano inizialmente previsti 2,1 miliardi di euro). Le autorità italiane al momento stanno valutando e scegliendo il modello di intervento adeguato e, a tempo debito, ne invieranno comunicazione alla Commissione Europea.
Sul 5G la Relazione nazionale evidenzia le sperimentazioni pre-commerciali in corso. Il 94% dello spettro armonizzato a livello UE per la banda larga mobile è stato assegnato.
La tendenza crescente nella concorrenza basata sulle infrastrutture ha portato a un miglioramento costante del livello di diffusione delle reti di accesso di nuova generazione (Nga) in fibra, migliorando quindi nettamente la posizione dell’Italia per quanto riguarda la connettività. Alcuni progressi, sebbene lenti, sono stati registrati per quanto riguarda l’attuazione del piano UBB nazionale. La complessità e la frammentazione delle procedure per il rilascio dei permessi locali possono aver inciso negativamente sulla fase iniziale della strategia UBB nelle aree bianche.
Sul fronte del capitale umano, l’Italia si piazza al 26o posto fra gli Stati membri dell’Ue e si trova quindi al di sotto della media. Solo il 44 % degli individui tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (57 % nell’Ue). La percentuale degli specialisti Ict rimane stabile, sebbene questi abbiano una minore incidenza sulla forza lavoro rispetto all’intera Ue (2,6 % rispetto al 3,7% nell’Ue). Per quanto riguarda i laureati in possesso di una laurea in Ict, l’Italia si posiziona ben al di sotto della media Ue con solo l’1 % di laureati in Ict. Tra le donne che lavorano solo l’1 % è specializzato in Ict.
Per quanto concerne le competenze digitali, la Commissione europea scrive che il Piano nazionale per la scuola digitale, lanciato nel 2015, ha prodotto fino ad ora risultati piuttosto modesti. Bruxelles invita l’Italia a potenziare gli investimenti soprattutto nell’istruzione primaria e secondaria. Per quanto concerne l’istruzione post- secondaria e terziaria, l’efficacia di tali investimenti dipenderà anche dal successo del piano Impresa 4.0 nel creare la domanda necessaria di professionisti del settore Ict. Oltre al Piano nazionale per la scuola digitale, l’Italia non ha una strategia complessiva per le competenze digitali; questo significa che i gruppi a rischio di esclusione sociale, quali gli anziani e i disoccupati, corrono anche il rischio dell’ampliamento del divario digitale.
In generale l’uso di servizi Internet rimane ben al di sotto della media Ue. Il 19% degli individui residenti in Italia, quasi il doppio della media Ue, non ha mai usato Internet. Le attività online più diffuse sono lo streaming o il download di musica, guardare video e il gioco online. Seguono l’uso dei social network e la lettura delle notizie online (sebbene questa attività si trovi all’ultima posizione tra i 28 Stati membri dell’Ue). Frequentare corsi online è l’attività meno diffusa (sebbene sia più diffusa rispetto ad altri paesi UE). L’uso di servizi di video on demand (23 % contro il 31 % nell’Ue) è l’attività online che ha registrato l’aumento maggiore dall’anno passato (ben 8 punti percentuali).
Sul fronte dell’integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese, l’Italia si posiziona al 23mo posto tra gli Stati membri dell’Ue, come nel Desi 2018, ben al di sotto della media Ue. Ci sono stati alcuni progressi nell’uso di servizi cloud ed e-commerce, tuttavia le imprese italiane non riescono ancora a sfruttare appieno le opportunità offerte dal commercio online. Solo il 10% delle Pmi vende online (ben al di sotto della media Ue, pari al 17 %), solo il 6% effettua vendite transfrontaliere e solo l’8% circa dei loro ricavi proviene da vendite online. Oltre il 37% delle imprese condivide informazioni per via elettronica all’interno dei propri dipartimenti aziendali (percentuale al di sopra della media Ue pari al 34%).
La decisione dell’attuale governo di rifocalizzare, nell’ambito del piano Industria 4.0, alcuni incentivi sulle Pmi è, secondo la Commissione Ue, un passo nella giusta direzione, ma sono necessari ulteriori sforzi sistemici per elevare il loro livello di digitalizzazione a quello dei principali concorrenti delle aziende italiane.
Sul fronte dei servizi pubblici digitali, l‘Italia si piazza al 18mo posto, con buoni risultati per quanto riguarda gli open data e i servizi di sanità digitale. Presenta tuttavia uno scarso livello di interazione online tra le autorità pubbliche e l’utenza: solo il 37% degli utenti di Internet italiani che hanno bisogno di inviare moduli lo fa online. L’Italia è il quarto paese nell’Ue in materia di open data, con un punteggio dell’80%. L’Italia si posiziona ottava nell’Ue per quanto riguarda i servizi di sanità digitale; il 24% degli italiani ha usufruito di servizi di sanità e assistenza erogati online. Il 32% dei medici di base usa le ricette digitali.
L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) e il Team per la Trasformazione Digitale coordinano la digitalizzazione dei servizi pubblici. I risultati, per quelle pubbliche amministrazioni locali in fase di rapida digitalizzazione dei propri servizi, sono buoni. Tuttavia il grado di autonomia di cui godono le pubbliche amministrazioni locali implica che queste agenzie hanno avuto meno successo nel coordinare le pubbliche amministrazioni locali meno collaborative.
Infine, conclude la Relazione della Commissione europea, alcuni dei poteri precedentemente detenuti dal direttore del Team per la Trasformazione Digitale sono stati trasferiti al primo ministro (o ministro delegato). I poteri sono ampi e il fatto che il governo voglia assumerli in prima personai potrebbe indicare che la digitalizzazione è una priorità alta; tuttavia ciò potrebbe rendere le cose più difficili durante la transizione dal Team per la Trasformazione Digitale alla nuova struttura.